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Tenuta Mazzolino e i suoi molteplici progetti enoici si racconta partendo dal nuovo Terrazze Alte

Quando una mattina d’autunno ti lasci alle spalle la nebbia, ma d’improvviso lei ti inghiotte di nuovo, probabilmente non avevi fatto i conti con il Po. Questo è stato il mio primo impatto novembrino con il casteggiano, sulla strada per la Tenuta Mazzolino. E così, risalendo le colline brumose, mi è quasi toccato indovinare i 22 ettari di vigneto della proprietà. 

Nelle cantine Francesca Seralvo e Stefano Malchiodi si rivelano subito prodighi di spiegazioni. Sotto le volte ottocentesche aleggiano idee e concetti che mi ricordano i bei tempi di serate sulla Borgogna. Mi hanno sempre appassionato i visionari (ma saranno veramente tali?) che hanno l’umiltà di seguire le orme dei migliori per andare oltre alle vedute tradizionali delle nostre contrade.

Parliamo ad esempio del sapiente bilanciamento nell’uso delle barriques, non nei soliti termini “legno nuovo vs legno usato”, ma come attenzione al mix di provenienza dei legni, con foreste (Vosges et Nevers) che conferiscono differenti sfumature al vino (nerbo la prima, dolcezza la seconda). E poi tostature lunghe a bassa temperatura, come dicono i francesi à coeur, che io prosaicamente traduco in “al midollo”. Il risultato è uno scambio più profondo, uniforme e – perché no – più onesto fra legno e vino, che al contempo taglia fuori quei sentori marcatamente tostati e torrefatti che spesso finiscono per mascherarne la personalità.

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Stefano Malchiodi e Francesca Seralvo

Stefano ci ricorda che nella tradizione Borgognona la fermentazione parte direttamente in barrique, poiché da sempre la materia prima è fornita dai boschi della regione. L’assenza iniziale di alcol limita lo scambio fra mosto e legno, che viene mediato anche dall’azione dei lieviti, con l’effetto finale di una superiore complessità del vino. Qui a Corvino San Quirico il legno è utilizzato per la fermentazione e l’affinamento dei due fiori all’occhiello della produzione di vino fermo della cantina, il Blanc (100% Chardonnay) e il Noir (100% Pinot Nero), candidato ad un invecchiamento ultraventennale.  

L’attenzione per i dettagli, che da queste parti si declina in ricerca e sperimentazione, emerge particolarmente nella vinificazione in bianco. Si inizia con la diraspatura (almeno sin qui, ma Francesca e Stefano stanno lavorando per raccontarci un nuovo capitolo della storia tra qualche anno…) e una generosa macerazione a freddo, fino a 10 giorni. Anche quest’ultima deriva dal sapere dei vignerons delle rinomatissime Côtes sotto Digione, che a loro volta l’hanno mutuata da quei sant’uomini (almeno per me che santifico le feste natalizie con il Kir Royal) dei produttori della Crème de Cassis. La fermentazione parte quindi direttamente in barriques senza controllo della temperatura; qualche grado in più fa volatilizzare quei sentori che altrimenti in bottiglia ossiderebbero in breve tempo. Il risultato è il Blanc, uno Chardonnay di impronta spiccatamente francese, ivi compresa una longevità decisamente oltre i parametri nostrani per un vino bianco.

A questo punto non ci resta che lasciare le affascinanti volte in mattoni, fatte costruire un secolo e mezzo fa dall’intuito del marchese Alfonso Corti per ottenere fermentazioni a temperature più fresche, ed affrontare il motivo della mia presenza qui, il misterioso nuovo vino…

Stefano ci spiega subito che sì, è un nuovo vino, ma sotto certi aspetti è la sublimazione di un prodotto ben conosciuto e apprezzato della Maison. C’era una volta – e c’è ancora, in ottima salute peraltro – il Terrazze, pinot nero ottenuto da uve coltivate su una collina particolarmente scoscesa (da cui il nome) e colonna portante della produzione aziendale. Ma come detto, lo spirito di ricerca e sperimentazione da queste parti non lo puoi fermare.

L’idea alla base della genesi del Terrazze Alte (è lui, finalmente!) è di separare le uve prodotte dai filari intorno alla sommità della collina del Terrazze. Quest’ultima va dai 260 ai 180 m s.l.m. e dal punto di vista viticolo la sua parte superiore si differenzia da quella inferiore non solo per irraggiamento e ventilazione, ma soprattutto per la composizione del suolo. Verso la cima infatti il dilavamento progressivo dell’argilla superficiale ha lasciato quasi nuda la marna gessosa di cui queste colline sono ricche. Nelle terrazze più alte le radici si trovano quindi a contatto con una notevole concentrazione minerale che si riflette nel carattere del nuovo vino. Pur senza i muretti d’oltralpe, che fanno sempre molto tradizione, il concetto ricalca quello del clos.  

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Tenuta Mazzolino, Vigneti

Provincia di Pavia IGT TERRAZZE ALTE 2020

Pinot nero in purezza, proveniente dalle vigne più alte dei quattro versanti della collina del Terrazze. Diraspatura e affinamento in acciaio per alcuni mesi. Degustata in anteprima (sarà lanciato sul mercato a partire dal prossimo febbraio), la matricola di casa Mazzolino si caratterizza per la freschezza tipica del Terrazze supportata da una decisa, seppur non invadente, sapidità.

Si presenta del rosso rubino tipicamente varietale; al naso subito aromi di sottobosco, frutti rossi e spezie delicate, seguiti da un sorprendente bouquet agrumato. In bocca è fresco e sapido e mantiene le promesse olfattive. La trama tannica è in armonia col vitigno, una presenza discreta ed elegante. Vale la pena tenerne da parte qualche bottiglia e seguirne il percorso nel tempo. Con queste durezze, robuste ma non aggressive già oggi, si prevedono interessanti evoluzioni per diversi anni. Ottimo il rapporto qualità-prezzo.

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Terrazze Alte 2020

Andrea Rossi